martedì 10 settembre 2019

È il capitalismo che sta uccidendo la natura, non l’umanità

     L’ultimo rapporto Living planet del WWF è una lettura piuttosto dura: la fauna selvatica è diminuita del 60% dal 1970, alcuni ecosistemi stanno collassando e c’è una buona possibilità che la specie umana non abbia vita lunga. La relazione sottolinea continuamente come la colpa di questa estinzione di massa sia da attribuire all’uomo e a ciò che consuma, e i giornalisti si sono precipitati a diffondere questo messaggio. Il Guardian ha titolato: “L’umanità ha distrutto il 60% delle specie animali”, mentre la Bbc ha scelto: “Il consumismo ha causato una grossa perdita di fauna selvatica”. Non c’è di che stupirsi: nelle 148 pagine del rapporto la parola “umanità” appare 14 volte, e “consumismo” 54 volte.


     C’è un termine, però, che non compare nemmeno una volta: capitalismo. Si potrebbe dire che, ora che l’83% degli ecosistemi di acqua dolce stanno collassando (un’altra delle statistiche inquietanti del rapporto), non abbiamo tempo di disquisire di semantica. Eppure, come ha scritto l’ecologista Robin Wall Kimmerer, “trovare le parole giuste è il primo passo per iniziare a capire”.

     Nonostante il rapporto del WWF si avvicini al concetto, parlando del problema come di una questione culturale, economica e di modello produttivo insostenibile, non riesce a identificare il capitalismo come ciò che lega in maniera cruciale (e a volte casuale) tutte queste cose. In questo modo ci impedisce di vedere la reale natura del problema e, se non lo nominiamo, non possiamo affrontarlo perché è come puntare verso un obiettivo invisibile.

     Il rapporto del WWF fa bene a evidenziare “il crescente consumo da parte dell’uomo”, e non la crescita della popolazione, come la causa primaria dell’estinzione di massa, e si sforza in maniera particolare di illustrare il legame tra la perdita di biodiversità e il consumismo. Però si ferma lì, non dice che è il capitalismo a imporre questo modello sconsiderato di consumo. Questo –  in particolar modo nella sua forma neoliberista – è un’ideologia fondata sull’idea di una costante e perenne crescita economica, spinta proprio dai consumi: un assunto semplicemente fallace.


     L’agricoltura industriale, il settore che il rapporto identifica come il responsabile primario della perdita di specie animali, è stata marcatamente costruita su principi capitalisti. Prima di tutto perché impone che abbiano valore solo quelle specie “mercificabili”, e secondo perché, nel cercare solo il profitto e la crescita, ignora tutte le conseguenze – come l’inquinamento o la perdita di biodiversità. Il rapporto, invece di richiamare l’attenzione sull’irrazionalità del capitalismo, che considera priva di valore la maggior parte della vita su questo pianeta, non fa altro che supportare la logica capitalista usando termini come “beni naturali” e “servizi dell’ecosistema” per riferirsi al pianeta vivente.

     Il rapporto del WWF sceglie l’umanità come unità di analisi e questo monopolizza il linguaggio della stampa. Il Guardian, per esempio, riporta che “la popolazione globale sta distruggendo la rete della vita.” Questa frase è totalmente fuorviante: il rapporto del WWF riporta effettivamente che non è tutta l’umanità ad essere consumista, ma non sottolinea abbastanza che è solo una piccola minoranza della popolazione mondiale a causare la maggior parte dei danni.

     Dalle emissioni di anidride carbonica all’impronta ambientale, è il 10% più ricco della popolazione ad avere l’impatto maggiore. Inoltre, non si dice che gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità abbiano maggiore impatto sulle persone più povere – le persone che contribuiscono al problema in maniera minore. Sottolineare queste differenze è importante perché sono queste il problema, e non l’umanità per sé, e perché le disuguaglianze sono endemiche nei sistemi capitalisti, specialmente per via della sua eredità razzista e colonialista.


     “Umanità” è una parola ombrello che tende a coprire tutte queste crepe, impedendoci di vedere la situazione per come è. Inoltre, diffonde l’idea che gli esseri umani siano intrinsecamente “cattivi”, e che sia in qualche modo parte della nostra natura consumare fin quando non è rimasto niente. Un tweet postato in risposta alla pubblicazione della relazione del WWF suggeriva che fossimo “dei virus con le scarpe”: un atteggiamento che spinge solo verso una crescente apatia. 

     Ma cosa succederebbe se questa sorta di auto-critica la rigirassimo verso il capitalismo? Non solo sarebbe un target più corretto, ma potrebbe anche darci la forza di vedere l’umanità come una forza benevola.

     Le parole fanno ben altro rispetto ad assegnare responsabilità diverse a diverse cause. Le parole possono costruire o distruggere le narrazioni che abbiamo diffuso sul mondo, e queste narrazioni sono importanti perché ci aiutano a gestire la crisi ambientale. Usare riferimenti generalizzati all’umanità o al consumismo per parlare dei fattori preponderanti nella perdita di biodiversità non è solo sbagliato, ma contribuisce a diffondere una visione distorta su chi siamo e chi siamo in grado di diventare.

     Parlare del capitalismo come di una causa fondamentale del cambiamento climatico, al contrario, ci aiuta a identificare tutta una serie di idee e abitudini che non sono né permanenti né fanno parte del nostro essere umani. Così facendo possiamo imparare che le cose non devono andare necessariamente così. Abbiamo il potere di indicare un colpevole ed esporlo. Come ha detto la scrittrice e ambientalista Rebecca Solnit, “Chiamare le cose con il loro nome distrugge le bugie che scusano, tamponano, smorzano, camuffano, eludono e incoraggiano all’inazione, all’indifferenza, alla noncuranza. Non basterà per cambiare il mondo, ma è un inizio”.

     Il rapporto del WWF lancia un appello a trovare una “voce collettiva, cruciale se vogliamo invertire il trend della perdita di biodiversità”. Ma una voce collettiva è inutile se non usa le parole giuste. Fin quando noi, e organizzazioni come il WWF, non riusciremo a nominare il capitalismo come la causa principale dell’estinzione di massa, saremo incapaci di contrastare questa tragedia.

Mappa globale dell'impronta ecologica dei consumi, 2014. Nonostante il rapporto del WWF evidenzi una disparità nei consumi, non dice nulla sul capitalismo che produce questo schema. WWF Living Planet.


di Anna Pigott

tratto da The conversation

sabato 25 maggio 2019

Liberare Nocera dalle auto: 10 passi per ripensare con coraggio ad una nuova città

     Uno dei temi che la nostra associazione sente più propri fin dalle sue origini è quello della mobilità sostenibile, su cui il nostro amico Ciro Annunziata ci ha insegnato tanto, specie col suo esempio concreto nella vita di tutti i giorni. Su questo argomento, purtroppo, il nostro territorio mostra una situazione critica, che peggiora di anno in anno, con strade ipercongestionate e concentrazioni di polveri sottili costantemente alte.

     Come associazione riteniamo che il primo grande ostacolo alla risoluzione di questa questione sia la scorretta informazione che induce il cittadino a farsi idee sbagliate sul problema dell'eccesso di traffico.

     Vorremmo con queste righe provare a rimediare a ciò, fornendovi una piccola panoramica di dieci possibili (e fattibili) soluzioni e della facilità con cui esse possono applicarsi, nella speranza che ne nasca un futuro e più strutturato dibattito con i cittadini, con altre associazioni o con le istituzioni.

1) Piano urbanistico di mobilità sostenibile partecipato
     Cosa significa Piano urbanistico di mobilità sostenibile partecipato? Sostanzialmente significa creare una “visione” della mobilità in città col contributo di tutti in maniera operativa: attraverso focus group con scuole (tramite questionari: “Come andate oggi a scuola? Vi piacerebbe andare con navetta?” etc), con associazioni, cittadini, commercianti. Significa darsi un cronoprogramma ed obiettivi da raggiungere in un certo numero di anni, fare un censimento sulla mobilità interna dei cittadini, analisi dei dati, interviste e sondaggi, confronto continuo, chiedere quali alternative preferiremmo. Queste analisi serviranno anche a smontare tanti luoghi comuni sulle cause del traffico a Nocera, visto che si tende sempre ad attribuire ad altri le cause del nostro traffico. Si deve arrivare ad un’idea condivisa da gran parte della comunità o comunque iniziare a tenerla preparata alla necessaria trasformazione. Sappiamo che in principio non sarebbe facile, la “resistenza” degli automobilisti incalliti sarà forte, ma un piano del genere inizierà a convincere gli scettici. Un esempio qui (Comune di Faenza).




2) Ciclabilità estesa delle città
     Oramai tutte le città virtuose puntano sulla bici, grazie anche ai tanti tipi di bici in diffusione (normali, pieghevoli, a pedalata assistita etc). Non puntare sulle bici oggi è follia.
     Nocera è in pianura, ideale per le bici e non è vero che non c’è spazio. Le piste ciclabili si possono realizzare facilmente, si può tracciarle, colorarle e gran parte delle vie di Nocera hanno la metratura giusta. Si possono fare a doppio senso, incanalando gli incroci giusti. Sono anche infrastrutture economiche. Per la sicurezza: fare zone a limite 30 km/h in città.



3) Allargare ancora di più il raggio delle ZTL davanti alle scuole
     All’inizio i genitori metteranno a ferro e fuoco i social, organizzeranno petizioni, ma col tempo capiranno i vantaggi. E si organizzeranno, insieme con le scuole, con servizi navette, car sharing, servizi di accompagnamento a piedi controllato (piedibus). I bambini saranno i più felici.

4) Organizzare servizi di piedibus
     Il piedibus non è il semplice andare a piedi. È una forma di accompagnamento organizzata e controllata che serve a condurre a scuola studenti, soprattutto quelli piccoli, tramite apposite figure di controllo, come capofila, controllori, accompagnatori vari, usando le stesse modalità valide per uno scuolabus, ovvero percorsi predefiniti, fermate appositamente segnalate con cartelli etc.
     Tra i vantaggi c’è anche quello di incentivare i bambini al moto, cosa importantissima in un’epoca in cui siamo sempre più invitati da un certo consumismo a impigrirci anche solo per sbloccare il display di un telefono.
     Il piedibus è strettamente collegato al punto 3. La scuola deve coinvolgere il Mobility Manager, figura obbligatoria nelle scuole. Ma anche laddove mancasse, si può avviare lo stesso un piedibus.
     Nel nostro territorio è già realtà, in Campania si sta già diffondendo, come nel caso di Caserta, a questo link.



5) Puntare sul trasporto pubblico locale
     Sembrerà banale, ma è tra le soluzioni più ovvie: avviare un sistema reale di Trasporto Pubblico Locale (TPL) tramite acquisto di parco navette elettrico in giro per la città, con orari chiari, tabelle luminose, specie negli scambi intermodali (stazione, e luoghi, come tribunale, ospedale etc) risolverebbe da solo un enorme parte del congestionamento del traffico.
     E se vi chiedete “Ma i soldi?”, sappiate che i finanziamenti europei su queste iniziative si sprecano! Ci vuole solo un po’ di volontà per studiare, scrivere correttamente i progetti ed ottenere i soldi. D’altra parte i progetti complessi per rotatorie e parcheggi si fanno, perché per le navette no?
     Un esempio a Treviso, dove sono bastati 1,5 milioni di euro di finanziamenti, di cui il 50% finanziato dalla Comunità Europea ed il restante da sponsor, con tanto di app collegata per avere in tempo reali gli spostamenti delle navette. Ma anche in Campania e in comuni confinanti (Cardito, Caivano) hanno lanciato di comune accordo un progetto bus elettrici.



6) Allargare ZTL al centro della città
     Le zone a traffico limitato (ZTL) sono ormai ovunque, con parcheggi al centro della città chiusi o comunque più costosi (chi inquina paga). Ma attenzione: l’obiettivo non è far vivere meglio chi abita al centro, bensì disincentivare sempre più l’uso dell’auto, agire in modo da far risultare questa come l’opzione più sconveniente. Le esperienze dimostrano che allargare le ZTL nelle zone dove si riversano molte auto, in sinergia con i punti precedenti (piedibus, navette, pochi parcheggi costosi, piste ciclabili), disincentiva le persone ad abusare dell’auto. Il traffico con il passar del tempo diminuirà in tutta la città ed andranno meglio sia le periferie, sia chi deve usare per forza l’auto per lavoro.




7) Vietare nuove infrastrutture per auto
     “Se pianifichi una città con più strade e traffico ti troverai più auto e traffico”. L’equazione del famoso urbanista Kent è un’equazione così semplice: non saranno nuove strade, nuovi caselli, nuovi parcheggi al centro a convincere le persone a non usare l’auto. Anzi, è il contrario! Più ho la possibilità di trovare un posto auto, un parcheggio, una via per andare a fare la spesa, per andare in palestra, per andare in tribunale, per andare all’ospedale, per andare in un negozio e più affollerò la città con la mia auto. Nuove strade che creeranno nuovi incroci e nuovi rallentamenti e quindi nuove congestioni. Questa d’altra parte è la storia dello “sviluppo” delle nostre città negli ultimi 30-40 anni.




8) Collegare la mobilità alternativa con lo sviluppo urbanistico della città
     Impedire ad esempio costruzioni di nuovi complessi residenziali al centro città, con altre centinaia di macchine che dovranno andarci a “vivere”. Spazi liberi potrebbero essere utili per parcheggi di navette, bici, per i collegamenti intermodali etc. Insomma qualunque cosa vada progettata a livello urbanistico deve essere collegata e adeguata alla mobilità sostenibile. E se non combacia, non si fa o si delocalizza altrove.

9) Trasporto pubblico (linee ferroviarie, bus di linea etc)
     Iniziare azioni politiche forti per potenziare le linee ferroviarie, la metropolitana dell’agro, Busitalia etc. Se si chiede a un cittadino perché non preferisca spostarsi con i mezzi pubblici quasi sicuramente risponderà che essi non sono efficienti. Basta quindi rendere efficiente il trasporto pubblico per renderlo un’alternativa allettante (e anche più economico). È un principio molto sottovalutato: il trasporto collettivo toglie tantissime auto dalle nostre città.




10) Car pooling
     Il car pooling è l’accordo, preso tra più cittadini che tendono a fare abitualmente gli stessi tragitti, a usare una stessa auto tutti insieme. Per esempio, un gruppo di insegnanti che lavorano in una stessa scuola, un gruppo di operai che lavorano in uno stesso cantiere, un gruppo di impiegati che lavorano nella stessa azienda etc. Il car pooling è anche economico: si risparmia sul carburante, sui parcheggi, sulla manutenzione, tutte spese condivise tra tanti, oltre che sull’inquinamento dell’aria. Anche questa è una soluzione esistente da tempo. Oramai sono le nuove modalità di trasporto che si stanno diffondendo sempre di più. L’amministrazione può dare incentivi a chi si organizza per spostarsi in maniera collettiva con la propria auto (come attraverso una riduzione delle bollette etc).



     Come si vede dal semplice esame di queste idee, un cambiamento è possibile solo se viene interpellata e coinvolta anche la comunità: bisogna avviare contemporaneamente dall’alto (amministrazione) e dal basso (comunità di cittadini) una coraggiosa e seria trasformazione della nostra città e delle nostre abitudini. Dobbiamo ripensare la nostra città con l’unica idea possibile: cioè ridurre l’uso e l’abuso dell’auto. Chi pensa ad altre soluzioni (nuove strade, caselli, parcheggi in città) rappresenta il Passato, cioè le soluzioni vecchie che ci hanno portato a questa situazione: inquinamento, avvelenamento, mancanza di spazi, costi, ingolfamento, stress, bruttezza urbana.
     Se vogliamo invece il Futuro, come sta accadendo in altre città, la trasformazione passa esclusivamente per la riduzione delle auto e non per nuove infrastrutture stradali. Non esistono altre alternative. E se vogliamo ridurre le auto, non possiamo continuare ad usarle così come abbiamo fatto fino ad ora. Dobbiamo immaginarci diversamente, muoverci in un altro modo, anche se ora ci sembra impossibile.

     La nostra bottega-associazione è sempre disponibile ad organizzare un’assemblea pubblica sul tema mobilità ecologica a Nocera.

Mauro Di Serio