Cos’è l’equosolidale

    La maggior parte dei prodotti che compriamo ogni giorno vengono realizzati da parte di grandi aziende che, in nome del profitto economico, calpestano i diritti di molti lavoratori delle zone povere del mondo, adottando pratiche di sfruttamento, compreso quello minorile, sottopagando i lavoratori e inquinando l’ambiente. Spesso, inoltre, la scarsa considerazione della salute dei consumatori induce queste aziende a mirare perfino ad un drastico e pericoloso abbassamento degli standard di qualità dei prodotti stessi, producendo cibi tutt’altro che sani.
    I prodotti realizzati con questa “filosofia” finiscono sugli scaffali dei nostri supermercati e noi, che siamo ignari di ciò che c’è dietro, li compriamo. E comprandoli permettiamo a tali aziende di crescere e di perpetuare queste pratiche nocive.

    Per fortuna esiste da molto tempo un modo alternativo di concepire il commercio che prevede la produzione di prodotti sani e rispettosi dell’ambiente e dei diritti delle persone. Si tratta del commercio equo e solidale.
    Per capire cosa sia il commercio equo e solidale è utile considerare il termine inglese che lo designa e che forse rende meglio il concetto alla sua base, ovvero fair trade.
    Trade vuol dire “commercio”, “mercato”, mentre fair è un aggettivo che si potrebbe tradurre con “corretto”, “giusto”. Il commercio equo e solidale è quindi una forma di scambio di merci improntato sui criteri della giustizia e della correttezza, ovvero un commercio che basa il suo funzionamento su criteri etici, piuttosto che meramente economici.
    Il commercio equo e solidale nasce quindi per opporsi alle pratiche di sfruttamento e inquinamento adottati dal mercato tradizionale: alla base di esso c’è l'idea di preservare i diritti umani dei lavoratori (coltivatori, artigiani...) e la salute del nostro ecosistema, al fine di rendere lo scambio di prodotti un fenomeno ecosostenibile, che non danneggi gli esseri umani e di introdurre nell’economia dei principi etici che vengono ignorati volutamente dal mercato tradizionale, in modo da lasciare alle future generazioni un mondo che funzioni meglio e sia più in salute.
    Oggi il commercio equo e solidale funziona su scala internazionale e sempre più cooperative stanno nascendo al suo interno. Esso fornisce una grande pluralità di prodotti: a partire da quelli storici, come il caffè, il , lo zucchero di canna, il cacao o prodotti di artigianato di vario tipo (statuine, accessori di bigiotteria, scatole portagioie, abiti veri e propri...), fino ad altri venuti in seguito, come il miele, la quinoa, l’orzo, la frutta secca, gli infusi, le spezie, le banane e molti altri.
     Queste materie prime vengono poi trasformate per realizzare ulteriori prodotti, come la cioccolata e i cioccolatini, il torrone, le caramelle, i biscotti, la crema di nocciole, le bibite solubili, i succhi di frutta, perfino il müsli...

    Ma quali sono le caratteristiche di questo modello alternativo di mercato e perché il consumatore dovrebbe preferire comprare equo e solidale? Ecco elencati uno per uno questi motivi, che sono poi anche le regole con cui il commercio equo e solidale funziona.





Ai produttori viene garantito un prezzo equo
    I grandi rivenditori (le grosse aziende multinazionali) che hanno un grande potere economico e quindi una grande capacità di imporre le loro decisioni, cercano di sfruttare al massimo i produttori (contadini, coltivatori, artigiani...), dando loro il minimo della paga e strappando loro il prezzo più basso possibile per le materie prime che essi ricavano o per le merci realizzate, senza tener conto delle effettive spese che il produttore ha sostenuto per fare questo lavoro.
    Le materie e le merci vengono pagate pochissimo ai produttori e rivenduti a prezzi molto più alti e la maggior parte di questi guadagni non va al produttore, vero motore del mercato, ma ai rivenditori, cioè alle grandi aziende: questo si traduce spesso in comportamenti lesivi che danneggiano quegli stessi produttori perché, se questi sono troppo deboli per proporre un loro prezzo, allora devono accettare quello imposto dal grande rivenditore, il quale finisce così per costringerli a lavorare a costi troppo bassi che non bastano per garantire ai lavoratori e alle loro famiglie condizioni dignitose di vita. In contesti del genere quindi capita di frequente che anche i bambini o le donne incinte si ritrovino costretti a lavorare, i primi rinunciando all’istruzione e le seconde passando la maternità a compiere lavori che non dovrebbero svolgere.
    Il commercio equo e solidale invece si comporta in modo diverso coi produttori, in quanto il prezzo dei prodotti viene concordato assieme ad essi, tenendo conto delle effettive spese che il produttore ha sostenuto per avviare la produzione (costi per le infrastrutture, per i macchinari, per i semi, per procurarsi utensili vari...). Ma soprattutto viene garantito  in ogni caso un prezzo minimo, il cui valore sia indipendente dalle fluttuazioni della finanza: in questo modo, se le fluttuazioni finanziarie sono tali da abbassare i prezzi in generale, il prezzo concordato nell’ambito del commercio equo e solidale non subisce questo drastico abbassamento e il produttore avrà comunque un prezzo minimo garantito.
    In questo modo i piccoli produttori, di per sé deboli, trovano nel commercio equo e solidale sicurezza e basi solide per continuare a svolgere il proprio lavoro anche nel futuro. Inoltre hanno la possibilità di associarsi in cooperative, gruppi di produttori che lavorano assieme in modo coordinato, comunicando e collaborando tra loro e acquisendo così ancor più potere contrattuale: il risultato è che i loro prodotti vengano pagati con un prezzo più giusto, più equo, appunto. E quello di giusto prezzo è il principio cardine del commercio equo e solidale.

L’ambiente viene tutelato e protetto
    I grandi distributori, per massimizzare i loro profitti, finiscono spesso per arrecare danni all’ambiente, impoverendo le sue risorse in modo selvaggio e indiscriminato, provocando varie forme di inquinamento alle acque, alla terra, all’aria che stravolgono i paesaggi, danneggiando la flora, la fauna e l’economia locali e, quando le risorse sono esaurite o irrimediabilmente compromesse, si spostano altrove per sfruttare altri habitat lasciandosi dietro veri e propri deserti. A fronte di questi sfruttamenti ambientali le grandi aziende non restituiscono nulla ai contesti da cui hanno tratto ciò che garantisce loro grossi guadagni.
    Nel commercio equo e solidale, al contrario, esiste l’obbligo di tutelare l’ambiente durante tutte le fasi del processo produttivo: in particolare è bandita ogni forma di inquinamento e si pone una grande attenzione all’uso di materie prime rinnovabili, riciclate, riciclabili o biodegradabili o l’adozione di coltivazioni biologiche, col divieto di sostanze chimiche nocive per l’ecosistema. Le tecniche di coltivazione e di lavorazione delle materie devono essere ecocompatibili e avere il minimo impatto possibile sull’ambiente, in modo da tutelare il clima e la biodiversità delle specie.

Si reinveste nel sociale e nell’istruzione
     
Le grandi multinazionali spostano di preferenza la loro produzione nei paesi più poveri perché in essi le norme a difesa dei diritti dei lavoratori sono quasi inesistenti e poco rispettate: in questo modo essi possono permettersi di sfruttare i lavoratori, in particolare i minori, senza avere problemi legali. Ma in un paese in cui i bambini non vadano a scuola per lavorare si diffonde l’analfabetismo e questo, a sua volta, impedisce lo sviluppo – anche economico – di quel paese. In questo modo il sud del mondo finisce per diventare un enorme bacino di schiavi che lavora per i paesi industrializzati.
     Nel commercio equo e solidale invece, quando si stabilisce il prezzo da pagare al produttore, esso dev’essere tale non solo da garantirgli condizioni di vita dignitose, ma anche da poterne investire una parte a beneficio del tessuto sociale in cui esso vive, attraverso la costruzione di scuole per i bambini (che sono stati salvati dallo sfruttamento del lavoro minorile sempre dal commercio equo e solidale), i quali si vedono così garantire il loro diritto all’istruzione.




Si promuove lo sviluppo dei paesi meno ricchi
    Il grande mercato tradizionale fa produrre le merci per lo più nei paesi poveri, dove la manodopera costa poco e dove spesso è possibile appropriarsi delle risorse violando le leggi ambientali: questa forma di sfruttamento garantisce grandi guadagni solo alle grandi aziende multinazionali ma non a quei paesi, che anzi si impoveriscono sempre di più e si troveranno sempre in una condizione di inferiorità contrattuale ed economica.
    Il commercio equo e solidale invece si occupa di risanare l’economia proprio di questi paesi in via di sviluppo che vengono sfruttati dal grande capitalismo. È lì che l'equo e solidale per lo più opera, favorendo la nascita di piccole aziende autonome, che possano cioè sostenersi da sole senza per forza essere costrette ad appoggiarsi ai grossi rivenditori, commerciando in un circuito di mercato diverso in cui siano protette, diventando indipendenti dalle grandi multinazionali e trovando così un’alternativa valida alla loro crescita e senza dover per forza sottostare alle condizioni di lavoro del mercato tradizionale.





I produttori non si indebitano
    Un altro inconveniente del commercio tradizionale sono i ritardi dei pagamenti: spesso le grandi aziende pagano le materie prime e le merci dopo molti mesi o addirittura anni e nel frattempo i piccoli produttori, non ricevendo i pagamenti, sono costretti a vivere in condizioni precarie o a addirittura ad indebitarsi. È facile pensare come questo metta a rischio l’esistenza stessa del piccolo produttore o lo incentivi a ricorrere all’usura per potersi sostenere.
    Nel commercio equo e solidale invece esiste una collaborazione tra produttori e acquirenti che previene questo tipo di rischi. Questo tipo di problema viene addirittura prevenuto usando metodi come il prefinanziamento, che consiste in forme di pagamento anticipate date ai produttori sulle loro ordinazioni. Con quei pagamenti anticipati i produttori  possono organizzare la produzione senza problemi e hanno così la possibilità di non rimanere invischiati nel circolo vizioso del pagamento dilazionato.

I rapporti commerciali sono stabili e duraturi

    Le grandi aziende non stabiliscono coi produttori rapporti forti e durevoli, ma occasionali e di breve durata, provocando quindi una forte incertezza degli sbocchi commerciali che impedisce ai piccoli produttori di programmare in modo stabile il proprio lavoro e la propria vita futura.
    Nel commercio equo e solidale il produttore non viene sfruttato solo quando serve e poi abbandonato a sé stesso, bensì si stabiliscono con esso rapporti lunghi che durano anni: in questo modo si dà al produttore la possibilità di fare un investimento sicuro con cui programmare il suo lavoro futuro al fine di sostenere sé stesso, la propria famiglia e la propria comunità. Questo conferisce stabilità e sicurezza al circuito economico e fa bene all’economia del produttore, ma anche al consumatore finale, che vede garantita la disponibilità del prodotto che desidera.

Filiere corte: più tracciabilità e maggiore vicinanza tra produttori e consumatori

    Nel commercio tradizionale la filiera, ovvero il numero di passaggi che vanno dalla materia prima fino al consumatore finale, è generalmente molto lunga. Il prodotto, cioè, passa attraverso un gran numero di fasi e di soggetti, ognuno dei quali compie un’operazione su quel prodotto: ad esempio c’è una persona che procura le materie prime, una che le lavora, una che si occupa dell’esportazione, poi c’è un broker che fa da intermediario tra i soggetti precedenti e le compagnie a cui deve andare il prodotto, poi c’è l’azienda multinazionale di turno che preleva il prodotto, poi ancora un ente che si occupa della distribuzione ai vari negozi, quindi ci sono gli stessi negozi o locali dove viene venduto il prodotto e infine il consumatore finale.
    In una filiera di questo tipo ogni soggetto riceve una percentuale del prezzo finale del prodotto, ovvero: quando noi paghiamo un prodotto paghiamo tutti questi soggetti. Ora, poiché il numero di soggetti è alto, se si volesse pagare un prezzo giusto a tutti, il prezzo finale del prodotto dovrebbe essere alto. Per tenere basso il prezzo finale le grandi aziende non rinunciano certo a una parte del loro compenso, bensì preferiscono tenere il prezzo basso fin dall’inizio della catena... e all’inizio della catena ci sono i produttori, che vengono così inevitabilmente sottopagati. In questo modo le grandi multinazionali guadagnano moltissimo ma i produttori sono ridotti in condizioni di povertà e vengono sfruttati.
    Nel commercio equo e solidale invece la filiera è molto più corta, tipicamente composta 3 o 4 passaggi. In casi estremi il produttore vende direttamente i suoi prodotti al consumatore finale, come avviene nel caso dei contadini che vendono i loro prodotti al mercato. Il vantaggio di avere una filiera corta è che ci sono meno intermediari, ovvero meno soggetti da pagare, quindi il prezzo non si gonfia troppo ad ogni passaggio, per cui è possibile che anche il produttore iniziale, primo anello della catena, riceva il giusto compenso per il suo lavoro.
    Non è finita. Altro vantaggio della filiera corta è la maggiore tracciabilità del processo produttivo: è possibile, cioè, identificare con maggior facilità ogni passaggio della filiera, tra cui la provenienza del prodotto, che come sappiamo è un fattore molto importante. Nel commercio tradizionale, invece, è spesso quasi impossibile risalire ai produttori a causa del groviglio complesso delle filiere lunghe.

    Infine grazie alla filiera corta esiste un legame più diretto tra chi produce e chi compra. I produttori, in particolare, vengono a contatto col mercato a cui destinano i loro prodotti o a causa di una vicinanza geografica (come avviene per i prodotti a Km 0) o perché comunicano più direttamente con i gruppi di consumatori (come accade per i GAS, gruppi di acquisto solidale, ovvero gruppi di persone che prenotano in un solo ordine prodotti di cui hanno bisogno); e, conoscendo meglio quel mercato, possono adattare meglio il loro lavoro ai bisogni dei consumatori.




    Da tutte queste considerazioni si comprende bene come lo sviluppo del commercio equo e solidale si traduca in uno sviluppo sociale ed economico, in uno sviluppo della sostenibilità ambientale e in un consumo più consapevole per chi acquista: comprare equo e solidale significa fare caso e conoscere le conseguenze economiche, sociali e spesso perfino politiche che le nostre scelte di consumatori hanno sulle persone e sull’ambiente, il che è importantissimo in un’epoca come la nostra, caratterizzata da gravose emergenze ambientali prodotte dai cambiamenti climatici e da grandi crisi economiche provocate dalle speculazioni finanziarie azzardate.
    Chi compra ha un grande potere: il potere di decidere cosa far accadere nel mondo quando usa il proprio denaro. Usare questo potere in modo saggio, critico e razionale dovrebbe essere il dovere di ciascuno di noi, giacché le scelte che facciamo lasciano una traccia nel mondo. Con il commercio equo e solidale si contribuisce a uno sviluppo positivo della nostra società: chi compra equo e solidale, infatti, ha sicuramente tra le mani un prodotto naturale e quindi sano, che farà bene contemporaneamente all’acquirente stesso, al produttore, alla sua famiglia, alla sua comunità e all’ambiente in generale. Migliorare il mondo facendo la spesa: non è bellissimo?