sabato 17 febbraio 2018

Il potere di comprare: breve elogio del consumo critico

     Nessuno di noi trascurerebbe la propria casa al punto da farla cadere a pezzi, mettendone a rischio la stabilità e la sicurezza; allo stesso modo nessuno di noi permetterebbe ad altri di maltrattare ingiustamente le persone che vivono in casa nostra; ma soprattutto ognuno di noi avrebbe tutto l’interesse a garantire le basi più solide possibili per il futuro di coloro che verranno dopo di noi ed erediteranno quello che gli lasceremo.

     Immaginate ora che la casa di cui parliamo sia il nostro pianeta e che le persone che la abitano con noi siano gli altri esseri umani; immaginate poi che coloro che erediteranno il nostro mondo siano i nostri figli. Non dovremmo forse avere lo stesso interesse a preservare l’ambiente in cui viviamo, le persone che lo abitano con noi e il futuro delle future generazioni?
     Ebbene, purtroppo la maggior parte di noi non ha una visione molto lucida di tutto ciò, perché non riusciamo a sentire con urgenza le questioni riguardanti la distruzione dell’ambiente, i diritti dei nostri simili e il futuro dei nostri figli. Anche se queste tematiche hanno ripercussioni sulla nostra vita, non riusciamo a sentirle come questioni che ci riguardano, non lasciano in noi una traccia emotiva abbastanza forte.

     Il modello economico attualmente dominante si dedica sempre più spudoratamente allo sfruttamento indiscriminato di cose e persone per garantire l’arricchimento di pochissimi grazie al modo compulsivo con cui ci inducono a comprare.
     In nome del mero arricchimento economico, le aziende multinazionali sfruttano uomini e donne di tutte le età e non solo nelle catene di montaggio delle fabbriche, ma anche nelle miniere, sotto metri di roccia, o nei campi, senza protezione, senza assicurazione, con turni di lavoro e viaggi a piedi massacranti, senza diritti e soprattutto con paghe ridicole bastanti appena alla sopravvivenza della famiglia: parliamo di uomini, donne, bambini e anziani trattati alla stregua di schiavi, che non possono aspirare a niente, che non possono andare a scuola, avere un lavoro normale, che non possono coltivare alcun interesse, che strutturano il loro tempo solo per rimanere in vita.


     Parliamo anche di interi ecosistemi distrutti, depredati delle loro risorse senza rispetto per i naturali ritmi di ricrescita, di foreste che scompaiono, di incendi, di aree desertificate, di animali e piante che spariscono; parliamo di inquinamento delle acque, che provocano crisi idriche e di approvvigionamento, e dell’aria, che produce a sua volta l’innalzamento delle temperature, che provoca alterazioni climatiche, le quali a loro volta compromettono la coltivazione di molti prodotti che quindi non potranno più essere coltivati, provocando emergenze alimentari e facendo morire di fame milioni di persone.


     Parliamo anche di guerre fatte in nome di quelle risorse, guerre in cui muoiono persone innocenti, da cui scappano migranti creando emergenze sociali e flussi migratori incontrollati.


     Tutto questo è il prezzo che la popolazione mondiale e il nostro pianeta pagano per far arricchire pochissimi super-ricchi sacrificando milioni di poveri. Tipicamente e in via riassuntiva possiamo dire che ormai il sud del mondo funge da manodopera schiava per i paesi industrializzati che vivono sulla miseria, sulla fame, sul costante ricatto nei confronti dei paesi in via di sviluppo o poveri. E noi consumatori abbiamo un ruolo chiave in questo processo perché è grazie a come noi compriamo che le aziende che alimentano questi meccanismi possono continuare ad agire così. Il sistema economico attualmente dominante sfrutta sia i poveri produttori/lavoratori che i consumatori che comprano: anche chi compra, infatti, viene sfruttato dal sistema in quanto viene indotto a comprare compulsivamente, sempre di più, senza criterio anche cose di cui non h davvero bisogno, viene educato dalla pubblicità a non considerare il valore di ciò che compra né di chi lo ha prodotto, ma a dover continuamente ricomprare ciò che gli serve, così le aziende si arricchiscono sempre più a scapito di tutti noi.


     La buona notizie è che questo può essere cambiato.
     Chi compra ha un grande potere: il potere di decidere come saranno trattati il nostro ambiente e i lavoratori che producono i beni che acquistiamo.
     Quando si acquista un prodotto, infatti, si tengono in vita i soggetti che si sono occupati della sua produzione e si alimentano le azioni compiute per arrivare al prodotto finito. In pratica, si tiene in vita un certo modello economicoRisulta perciò essenziale sapere cosa ci sia dietro un prodotto prima di acquistarlo, per sapere se valga la pena di usare il nostro potere di compratori.

     È proprio in questo che consiste il consumo critico: il consumo critico è una forma di consumo più ponderata, ovvero un modo di scegliere i prodotti che non si basa solo sul prezzo, ma che tiene conto anche delle ripercussioni che la produzione del prodotto ha sulle sfere sociale e ambientale. Chi si sceglie di comprare in modo critico è quindi una persona che preferisce il più possibile i prodotti di quelle aziende che hanno un comportamento virtuoso, cioè che non sfruttano e non maltrattano le persone dei paesi poveri, che rendono trasparente la filiera produttiva, che non inquinano l’ambiente.
     Il consumo critico è quindi una forma di consumo razionale, perché, oltre a implicare l’intelligenza empatica da parte di chi compra («non penso solo a me, ma anche al resto del mondo, che è casa mia»), alimenta meccanismi di produzione virtuosa e modelli economici alternativi che tutelano l’ecosistema e i diritti dei lavoratori.


     Ma dove trovare alternative valide in un mondo che, a prima vista, sembra dominato dal mercato neoliberista delle multinazionali? A quanti di voi si sentono vicini a questo tema farà piacere sapere che le alternative non solo sono tante, ma esistono anche da molto tempo.

     È per questo che, ad esempio, è nato il commercio equo e solidale, che basa i propri standard di produzione sulla giusta retribuzione dei produttori (tipicamente sfruttati e sottopagati dal mercato tradizionale), sull’obbligo di fare investimenti nei paesi in via di sviluppo (che il mercato tradizionale prova invece a non far sviluppare), sulla trasparenza delle operazioni, come la provenienza dei prodotti e le filiere corte, sul metodo con cui vengono realizzate le merci, sull’obbligo categorico di tutelare l’ecosistema durante tutto il processo produttivo (ecosistema che invece viene deturpato e inquinato dal mercato tradizionale). In questo hanno molta importanza i prodotti realizzati secondo lagricoltura e l’allevamento biologici, che non danneggiano il suolo e gli animali che realizzeranno i prodotti alimentari che poi acquistiamo.

     Le pratiche del consumo critico non si fermano però all’acquisto dei prodotti equosolidali, ma assumono anche altre forme, tutte divenute già realtà e tutte diffusesi sempre più negli anni, diventando alternative sempre più alla portata di tutti.

     Ci sono ad esempio i gruppi di acquisto solidali (o G.A.S.), che consistono in acquisti in grandi quantità di beni generalmente alimentari o di largo consumo fatti in gruppo con altre persone e comprando direttamente dai produttori, non solo al fine di risparmiare (in tal caso sarebbero gruppi di acquisto generici) ma anche di creare dei nuclei di microeconomia etica in cui si valorizzino solo le produzioni virtuose che rispettino certi standard di rispetto per l’ambiente e per i diritti dei lavoratori.


     Ci sono i prodotti sfusi e alla spina, che consistono nel rifornimento misurato di beni come detergenti o cosmetici o cibo in modo da ridurre gli imballaggi delle confezioni e riutilizzare gli stessi contenitori, sempre per evitare sprechi e rifiuti (che inquinano l’ambiente).


     Poi ci sono le pratiche più quotidiane, come il riutilizzo creativo di oggetti, ovvero dare una seconda vita ad oggetti considerati obsoleti, destinandoli ad usi diversi, per non produrre rifiuti e ottimizzare la spesa fatta per acquistarli. Qui il consumatore critico si riconosce perché preferisce comprare prodotti di cui sa già che potrà fare un altro utilizzo.


     Le botteghe del mondo, o botteghe equosolidali, sono i luoghi dove potete trovare tutto ciò e noi, nel nostro piccolo, proviamo a rendere realtà tutto questo, con grande fiducia in questi valori e con il forte desiderio di condividere con il maggior numero di persone possibili le realtà che noi stessi abbiamo voluto creare.

     Ognuna di queste pratiche meriterebbe un approfondimento a sé, ma in questa sede volevamo solo dare una panoramica generale, per lanciare un messaggio chiaro: che cioè le alternative esistono, non sono pratiche per pochi eletti, sono anzi facili da adottare, alla portata di sempre più persone.

     Attenzione, però, lo scopo non è di essere integralisti a tutti i costi: sappiamo bene che è molto difficile pretendere di comprare solo ed esclusivamente prodotti realizzati in modo etico, ma ogni volta che sia possibile è bene farlo laddove il nostro territorio e i nostri mezzi ci permettano di preferire alternative più virtuose. Così facendo si usa bene il nostro potere di comprare, perché ci si prende cura del nostro pianeta, che è l’unica casa che abbiamo, dei nostri fratelli, dei nostri figli... e di noi stessi.


di Aniello Calabrese

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